lunedì 1 febbraio 2010

Giuseppe Verdi,
La traviata

Anche quest'opera è una miniera di ricordi. La prima volta che la vidi a teatro fu nel 2001, alla Scala. Era l'anno delle celebrazioni verdiane e con un gruppetto di matti, che allora frequentavo, si andava a prendere i biglietti di loggione. Detta così pare semplice; in realtà era una vera e propria maratona, permessa dall'età, dall'entusiasmo e dalla amena compagnia. Per ottenere i famigerati biglietti di loggione, dove ti può toccare di stare pure in piedi se non corri per le scale abbastanza in fretta, bisogna rispondere ai cosiddetti "appelli". Ovviamente ce n'è più d'uno e si tengono di notte, l'ultimo verso l'alba. Be', noi ci facevamo gli appelli del sabato, stavamo praticamente in piedi tutta la notte con la mitica colazione finale al caffè Varenna di Corso di Porta Ticinese, alle 6 di mattina. Poi tutta la domenica a dormire e alle 18 si era allo spettacolo, belli, riposati ed eleganti. Per allenarci a tale tour de force e mantenere alto il morale della truppa, la rappresentazione era preceduta da due o più cenette pro-opera a casa dell'uno o dell'altro, durante la quale si ascoltavano le arie e io ero incaricata, in quanto professoressa allora in pectore, di raccontare la trama. Ci siamo divertiti e ci siamo ascoltati un sacco di belle opere. Tra cui Traviata. Di cui ero sicura di avere almeno una selezione dell'opera e invece nisba, nella mia discoteca casalinga (ma qui sospetto un furto e ho anche dei forti sospetti...).
Tra i ricordi c'è un'altra Traviata più recente, questa volta all'Opera di Roma nel 2007, con le scene di Zeffirelli e diretta da Gelmetti, non male ma nemmeno da strapparsi i capelli e oltretutto un secondo cast. Ho però il programma di sala, con dei saggi che prima o poi rileggerò; noto solo che la maggior parte sono riciclati e i pochi originali sono scritti da studenti del primo anno di DAMS, nell'ambito di un progetto "Studiare con l'opera", che non so se c'è anche adesso. Magari saranno anche più interessanti di quelli dei musicologi blasonati ma dubito che glieli abbiano pagati (mentre a noi avranno chiesto i soliti 10 euro pieni).

Come giustamente sottolinea Pestelli, oggi la carica eversiva del soggetto - che forse in Verdi non fu nemmeno così essenziale - non fa più rumore; la morale corrente si è piegata a ben peggiori misfatti di quelli che poteva aver commesso una mantenuta, morta per di più di tisi e quindi già punita dalla natura. "L'opera continua a commuovere per la storia interiore della protagonista, per come Violetta conquista se stessa a dispetto di tutti." Il sacrificio d'amore di Violetta è quello che più ci colpisce, soprattutto in una società individualista come la nostra in cui rinunciare all'amore e al piacere personale per il bene dell'amato, sembra una follia (e invece molto spesso sarebbe una grande saggezza; vedi coppie male assortite per età e ceto sociale che poi fanno una triste fine, triste soprattutto per chi è il più debole dei due). Ma chiudiamo qui il siparietto moralistico e passiamo all'opera.

Sto ascoltando una versione con la Callas che mi è stata scaricata e regalata. Come al solito le informazioni sono scarse e ricostruire chi sono i cantanti e il direttore impresa vana: dovrebbe essere, con un ragionevole margine di dubbio, quella del 1958 con Ghione sul podio, Kraus e Sereni, registrata a Lisbona. Che dire: la Callas è la Callas e anche musicalmente i tempi sono vivaci e azzeccati anche se sento tutto un po' velato per via della registrazione vetusta e live, come proveniente da nebbie del passato remoto. Quello che mi balza agli occhi, anzi alle orecchie, è che quasi tutti i momenti di questa opera sono diventati famosissimi e ci risuonano noti e familiari.

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