domenica 21 marzo 2010

Anton Bruckner,
Sinfonia n.7, 214/48

L'immortale di oggi è uscito sua sponte dalla radio: un concerto in replica dell'Orchestra della RAI del giugno 2007, Juanjo Mena direttore. Avendo acceso a pezzo iniziato (da poco, per fortuna) non ho individuato subito l'autore ma sono stata colpita immediatamente da questo senso di solennità malinconica di cui parla Pestelli, una musica "lenta e ruminatrice" che in effetti mi ha accompagnato pazientemente lungo varie incombenze mattutine, in questa domenica di primissima primavera. E' una musica riassuntiva, questa settima sinfonia, in cui si trovano le ombre di un mondo che fu e le inquietudini di un mondo che nasce. Al 1883, anno di composizione, l'impero austroungarico è ancora forte e potente sullo scenario europeo; come credere che durerà ancora solo trenta anni, spazzato via dalla prima guerra mondiale? Alcune profonde crepe iniziano ad aprirsi nella società, il mondo "altro" preme ai confini di quello conosciuto (è l'epoca dell'affermarsi delle grandi conquiste coloniali, con tutto l'esotismo di ritorno che giunge in Europa), le idee nuove dei socialisti scuotono alle fondamenta la storia e il pensiero.

Non so quanto di tutto questo realmente cogliesse Anton Bruckner, con il suo carattere schivo, la biografia segnata dai continui lutti familiari e dall'ostilità dei colleghi. Questa pensosità, gravida di conseguenze e di sentimenti, si sposa però incredibilmente bene col grigio denso del cielo di fine marzo, oltre il quale attende di esplodere la primavera.

venerdì 19 marzo 2010

Johann Sebastian Bach,
Jesu meine Freude BWV 227
214/47

Non potrebbe essere più adatto l'ascolto di oggi alle mie ricorrenze personali. Oggi, infatti, si intreccia una festa pubblica con una ricorrenza privata e questo è uno dei 6 mottetti funebri che Bach scrisse tra il 1723 e il 1734. Pestelli, con la consueta acutezza, elabora questa calzante immagine per l'immortale odierno: "Davvero Bach tratta la polifonia come i grandi scultori la pietra più dura, piegandola a qualunque sfumatura del pensiero e del sentimento: così l'antitesi drammatica di carne e di spirito si rappresenta in una sintesi suprema di maestria e umanità."

Poche musiche sanno essere consolatorie come quelle bachiane. Nell'universo di questo compositore tutto il caos è ridotto a cosmo, compatto, consequenziale, coerente. Forse perchè nella sua musica, e tanto più in quella sacra, il pensiero di Dio non è mera idea ma vita vissuta, forza e confidenza. Nel cosmo esiste un dolore che non è smarrimento, una sofferenza che tende ad un fine e perciò può essere sopportata. Lo dicevamo a proposito della Johannes-Passion, lo ripetiamo adesso.

Porterò con me questa musica durante la giornata, che mi vedrà in giro tra due città, nel traffico affollato di turisti, impegnata in incontri e scambi. Ma una parte di me, sono sicura, rimarrà nella cattedrale gotica dove Gli Angeli Genève continuano ad eseguire per me questo mottetto.

P.S. a proposito, questo è il testo:http://www.bach-cantatas.com

giovedì 18 marzo 2010

Hector Berlioz,
Les Nuits d'été
214/46

Forunata coincidenza l'immortale di oggi: sto lavorando ad altro di Berlioz e mi gusto anche queste Nuits d'été, così vive e coinvolgenti. Berlioz è un genio di cui si comprende ancor di più dal confronto con i suoi tempi. Moderno, modernissimo, troppo moderno per non essere guardato con sospetto, per non avere successi solo parziali, innegabili ma anche scomodi.

Figlio di un medico che nella buona educazione borghese impartita al figlio aveva messo anche la musica, Berlioz scoprì che la sua era una vocazione travolgente a Parigi, dove si era trasferito per studiare medicina. E qui comincia a fare il "figlio pazzo": spende il mensile del padre per pagare i musicisti che possano eseguire i suoi lavori faraonici e puntualmente stroncati, contrae debiti che poi dovranno essere rifondati dallo sconcertato genitore, arranca in camere bohemienne facendo lavoretti per mantenersi, prova e riprova il Prix de Rome, si innamora perdutamente di attrici di teatro, viene lasciato da fidanzate realistiche e poco disposte ad aspettare i suoi chimerici tempi di matrimonio. Insomma, una vita vissuta intensamente in cui la passione per la musica si alimenta a quella per la letteratura, musa concreta di molte composizioni. Come questa che sto ascoltando: un insieme di sei Lieder per voce e orchestra su testi di Théophile Gautier, prima stesura per voce e pianoforte 1855.

Ascoltando Berlioz si pensa già a Baudelaire, più giovane di 18 anni: quella sensualità profonda che scorre come un fiume sotterraneo e silenziosa scava caverne fantastiche nel nostro inconscio, tirando fuori i sentimenti più forti e riposti. L'orchestrazione, come riconoscono tutti, è il punto di forza di qusto compositore: inconsueta, spiazzante, gigantesca. (E proprio questo gigantismo fu il tallone d'Achille del nostro ai suoi tempi: dove trovare quelle masse orchestrali e corali che potessero eseguire le opere di uno sconosciuto?)

E forse il miglior commento a questi brani sono proprio alcuni famosissimi versi del poeta francese, tratti da Profumo esotico. Siamo nel 1857, appena due anni dopo le nostre musiche. Eccoli:

Guidato dal tuo profumo verso climi che incantano,
vedo un porto pieno d'alberi e di vele ancora
affaticati dall'onda marina,

mentre il profumo dei verdi tamarindi che circola
nell'aria e mi gonfia le narici, si mescola nella mia
anima al canto dei marinai.

martedì 16 marzo 2010

Ludwig van Beethoven,
Trio op.97 Arciduca
214/45

"Vetta suprema nella musica da camera di ogni tempo." Così Pestelli su qusto trio beethoveniano: secco ed esaustivo, senza possibilità di repliche o ripensamenti. E siamo d'accordo anche noi.

1811 la data di composizione; Beethoven che è l'insegnante di musica dell'Arciduca Rodolfo d'Austria ha qualche giorno di tempo libero perchè il suo pupillo ha male ad un dito. Per fortuna, commenta Pestelli, visto che ci ha fruttato tale capolavoro! Ogni volta che ascolto Beethoven mi stupisco della sua modernità e lo confronto mentalmente con quanto si ascoltava nei teatri d'opera a quei tempi ma anche nelle sale da concerto. Insomma si usciva dal Settecento con le sue neoclassiche rigidità e prevedibili armonie (non parlo ovviamente di Mozart, che era considerato infatti da molti un eccentrico), soprattutto nella musica da camera che era destinata ad un consumo familiare, borghese e aristocratico non si voleva essere sconvolti da troppe novità. Eppure Beethoven riesce a mettercele, facendole passare, per così dire, dolcemente sottobanco. E così la musica che ascoltiamo piacque alle orecchie di allora ma anche alle nostre di adesso, sollevandoci in quei territori dell'assoluto che a volte ci sconvolgono con violenza ma a volte ci accompagnano con una carezza.

Pëtr Ilič Čajkovskij,
Lo Schiaccianoci
214/44



Dice Pestelli che il miracolo dello Schiaccianoci è "la capacità di guardare le cose, i soldatini, le fate, le danze arabe, il coriandolio del valzer dei fiori, con l'affetto dell'adulto che rinasce nell'animo del fanciullo, nella gemmea curiosità del suo sguardo." Io ne ho fatto la prova domenica scorsa. Mi trovavo a San Pietroburgo e non ho potuto resistere alla tentazione di prenotare un ottimo posto al Teatro Mariinsky, per guardarmi il balletto dal vero e tornare bambina anche io. Che meraviglia la danza dei fiocchi di neve, la regina delle api, la donna serpente che che balla la danza araba, i topolini del primo atto e la grande scena d'insieme finale! Scenografie da sogno e costumi sontuosi, che fanno volare anche le nostre fantasie televisive, ormai addormentate da decenni di lustrini ed effetti speciali posticci.

Se dovessi fare una vera recensione non potrei tacere delle incertezze ritmiche permesse all'orchestra dal direttore Mikhail Agrest, che avranno fatto tirar più di un interiore improperio ai ballerini che agivano sulla scena; e non potrei tacere dell'attacco sottotono del primo atto, quasi che il grammofono avesse bisogno di un giro di manovella in più. Ma per fortuna questo è il mio blog e posso essere anche faziosamente insincera e dire solo quanto tutto lo spettacolo sia stato allegro e sognante, ricco di bellezza e di grazia, di spiritosa fantasia. Che leggerezza sorridente quella di Yelizaveta Cheprasova, prima ballerina interprete di Masha in duo con Anton Korsakov, il Principe schiaccianoci! E che meraviglia le scene coloratissime di Mihail Chemiakin: valevano da sole il prezzo (esorbitante) del biglietto.

Il teatro era pieno, pochissimi turisti stranieri ma forse molti turisti russi; in marzo fa effettivamente troppo freddo per avventurarsi a quelle latitudini se non vi si è perlomeno nati. Ad ogni modo noi siamo sopravvissuti e tornati nella dolce primavera romana sani e salvi. E con un balletto in più negli occhi e nel cuore.

giovedì 4 marzo 2010

Johannes Brahms,
Sinfonia n.2 op.73
214/43

Pestelli dice che questa Seconda di Brahms è "quasi un'antisinfonia" tanto manca la retorica epica con cui ci immaginiamo paludato ogni brano che vada sotto questo titolo. E proprio musica immortale ma senza retorica ho bisogno di ascoltare oggi, un giovedì in cui la primavera incipiente si annuncia sotto forma di temporale scrosciante ma tranquillo, tributo liquido al rinascere della natura. Un che di liquido lo ha anche questa Sinfonia, in cui i fiati sono così significativi e pieni di personalità. Riporta, sempre il nostro Pestelli, un aneddoto che si attaglia bene al mio umore di oggi: al maestro di cappella tedesco che gli chiedeva il perchè del "cupo scintillamento di tromboni e timpani nelle zone profonde della partitura" poco dopo l'inizio, Brahms ricordò che anche nei quadri più luminosi c'è sempre una macchia scura che li fa risaltare ancora di più e che questo rispecchiava anche il suo carattere, profondamente malinconico, come se un frullo di ali nere risuonasse spesso sopra la sua serafica serenità.

Ascolto la versione di Karajan con i Berliner, acquistata qualche tempo fa. Sulla copertina del CD un ritratto fotografico di Karajan, già anziano con le sue belle rughe espressive, la chioma bianca e le maniche di una maglia rossa vezzosamente girate intorno al collo della camicia bianca. Un grande vecchio, non c'è che dire. Penso ai grandi vecchi di oggi: Abbado, Pollini. Ogni loro concerto è un regalo da scartare con gioia.