venerdì 19 marzo 2010

Johann Sebastian Bach,
Jesu meine Freude BWV 227
214/47

Non potrebbe essere più adatto l'ascolto di oggi alle mie ricorrenze personali. Oggi, infatti, si intreccia una festa pubblica con una ricorrenza privata e questo è uno dei 6 mottetti funebri che Bach scrisse tra il 1723 e il 1734. Pestelli, con la consueta acutezza, elabora questa calzante immagine per l'immortale odierno: "Davvero Bach tratta la polifonia come i grandi scultori la pietra più dura, piegandola a qualunque sfumatura del pensiero e del sentimento: così l'antitesi drammatica di carne e di spirito si rappresenta in una sintesi suprema di maestria e umanità."

Poche musiche sanno essere consolatorie come quelle bachiane. Nell'universo di questo compositore tutto il caos è ridotto a cosmo, compatto, consequenziale, coerente. Forse perchè nella sua musica, e tanto più in quella sacra, il pensiero di Dio non è mera idea ma vita vissuta, forza e confidenza. Nel cosmo esiste un dolore che non è smarrimento, una sofferenza che tende ad un fine e perciò può essere sopportata. Lo dicevamo a proposito della Johannes-Passion, lo ripetiamo adesso.

Porterò con me questa musica durante la giornata, che mi vedrà in giro tra due città, nel traffico affollato di turisti, impegnata in incontri e scambi. Ma una parte di me, sono sicura, rimarrà nella cattedrale gotica dove Gli Angeli Genève continuano ad eseguire per me questo mottetto.

P.S. a proposito, questo è il testo:http://www.bach-cantatas.com

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