lunedì 18 gennaio 2010

Ludwig van Beethoven,
Sonata per pianoforte n.23 op.57 "Appassionata"

Probabilmente per Ashkenazy la passione coincide con l'arrabbiatura. Eccessivamente arrabbiata, piena di strappi e di inaudite velocità, è l'interpretazione che avevo in casa, un CD allegato ad un «The Classic Voice» di qualche anno fa. Partitura alla mano e ben altre esecuzioni nelle orecchie, non ultima quella di Maurizio Pollini lo scorso 18 agosto al Teatro dei Rozzi di Siena, dove ormai è un'abitudine andarlo ad ascoltare, l'ho sopportata da cima a fondo. Per poi andare di filato al mio computer e scaricarmi la versione di Pollini che sto ascoltando adesso, finalmente. Questa volta sono andata a comprarla su www.ibs.it, fornitissimo di belle edizioni di musica classica, molto più di I-Tunes, che sulla classica non sempre è soddisfacente. L'incisione è del 2003, il taglio è il solito polliniano razionalismo pieno di fuoco.

Detto questo passiamo al pezzo. Come faceva Beethoven ad immaginare tali e tante meraviglie pianistiche per quelle carrette che erano i pianoforti della sua epoca, resta un mistero. Anche questa visionarietà, l'immaginare le possibilità di uno strumento nel futuro, fa parte del corredo dei grandi. Certo, gli Steinway attuali aiutano molto a ricreare quello che era nella mente di Beethoven.

Pestelli racconta un simpatico aneddoto a proposito della composizione di questa sonata: pare che Beethoven, tornato dalla consueta passeggiata (mmm...queste passeggiate regolari mi ricordano Kant, morto proprio in quel 1804 in cui fu composta la sonata...) in preda al furore compositivo che bolliva e ribolliva - era il finale dell'Appassionata, appunto - avesse lasciato il povero allievo che lo aspettava per più di un'ora in disparte, per poi congedarlo con un: "Oggi non c'è lezione, ho ancora molto da lavorare." E dice bene il nostro caro Pestelli più oltre: "In quel borbottare indecifrabile, dove non contano più le singole note e dove non c'è disegno, ma conta l'effetto d'insieme, il tono e il colore, si può dire che tramonti l'idea classica della musica come "cosa bella" e sia incominciata la musica romantica e moderna: intesa come qualcosa che ti viene incontro senza un tema ben raffigurato, che significa senza essere cantabile, solubile in canto, ma solo depositata e ingranata nel suono artificiale dello strumento."

Bella responsabilità addossata a questo pezzo. Ma Beethoven ha le spalle larghe e regge questo ed altro...

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