martedì 12 gennaio 2010

Gustav Mahler,
Das Lied von der Erde



Oggi niente musica registrata ma un vero concerto. Orchestra di Santa Cecilia al nuovo Auditorio, Antonio Pappano direttore e solisti Anna Larsson e Simon O'Neill. L'eleganza di Pappano, la sua energia e fluidità, vanno a nozze con una partitura così profonda, contemporaneamente sommessa e grandiosa. Ottima prova della Larsson, la cui interpretazione partecipe e intensa ha messo in luce le finezze della partitura e ha reso in maniera convincente il colore del brano. O'Neill: francamente, dalla mia posizione in platea sul lato sinistro, non l'ho sentito; l'orchestra copriva quasi del tutto la sua performance, che è rimasta un punto interrogativo.

Il valore aggiunto di questo concerto (la cui novità era compresa nella prima parte: la nuova opera di Hans Werner Henze, Opfgang, di cui però non parlo in qusto blog, riservato esclusivamente e un po' maniacalmente ai capolavori di Pestelli) è stato l'incontro con 4 vecchi amici, tutti musicologi o musicofili, 3 dei quali musicisti e 1 anche compositore. Scambiare le impressioni nell'intervallo e sentire che non c'è nemmeno bisogno di tante parole per capirsi è un aspetto impagabile dell'andare ai concerti, che raramente purtroppo mi capita di godere. Andare ai concerti, tra lavoro e impegni di famiglia è un lusso per molti e spesso anche per me...

Ma torniamo al Canto della Terra. Pestelli, aforistico come al solito, chiude il suo commento così: "Mahler [...] canta la morte, ma nell'intensità del canto celebra la terra e la vita." Il 1907 non era stato un buon anno per il nostro compositore: la sua adorata figlioletta Putzerl era morta di difterite a soli 5 anni, gli avevano diagnosticato una grave patologia al cuore e, dopo lunghi contrasti, era stato costretto a dare le dimissioni dalla Hofoper di Vienna, di cui era stato direttore artistico. Durante quell'estate si rifugia nella casetta di legno della foto qui sopra, costruita accanto alla casa dove trascorre le vacanze a Toblach (ora Dobbiaco), carta da musica e un libro di poesie. Lo ha ricevuto da un amico, il dottor Theobald Pollack, che ne è assolutamente entusiasta e si tratta di una traduzione, alquanto libera, di una serie di poesie cinesi, pubblicate proprio in quell'anno. Mahler ne sente forte la suggestione, sulla scia della moda orientaleggiante che è diffusa all'inizio del secolo in Europa e decide di scrivere un insieme di lieder che sono anche una specie di sinfonia, talmente sono consequenziali e connessi tra loro. I brani sono sei e a cantarli si alternano un contralto e un tenore; i temi sono la summa della nostra esistenza: la sofferenza, il desiderio, la solitudine, l'ebbrezza, il sogno, il rimpianto, l'amicizia, il mistero della natura.

Il cuore di Gustav Mahler reggerà ancora per qualche anno, fino al 1911. La sua musica è viva anche oggi, fresca e leggera come solo i classici sanno essere. Mi piace chiudere con questi versi, tratti dal primo lied, Il brindisi del dolore della terra, per ricordarci quanto siamo piccoli eppure grandi:

Azzurro eterno è il firmamento, e la terra
è destinata a lungo a stare immobile, e a rifiorire in primavera.
Ma tu, uomo, ancora vivrai?

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