mercoledì 6 gennaio 2010

Johann Sebastian Bach,
Concerti per uno e due violini
BWV 1041-1042-1043

Se pensiamo a Johann Sebastian Bach (il mio amatissimo Bach! finalmente è arrivato tra i capolavori di Pestelli...) ce lo immaginiamo con la sua bianca parruccona ricciolosa, solennemente intento a suonare possentemente l'organo. E in effetti le tastiere, organo, clavicembalo e clavicordo furono i suoi strumenti d'elezione ma fu il violino a procurargli il primo impiego nell'orchestra di corte a Weimar nel 1703 e più avanti nel 1708. Bach suonava magistralmente violino e viola: durante il lungo viaggio verso Lubecca, intrapreso a piedi nel 1705 per andare a sentire Buxtehude - un organista, guardacaso - fu proprio il violino, suonato nelle locande, a fargli sbarcare il lunario. Insomma, se l'organo era lo strumento del cuore il violino era quello del portafogli - e il divino ci permetta l'irriverenza...

Nel 1717, anno in cui questi concerti sono composti, Bach si licenzia burrascosamente dal duca di Weimar (che prova anche ad arrestarlo per non farlo andare via; ma si trattò di puntiglio e non di amore per la musica) e passa al servizio di Leopold von Köthen: anche qui è il violino a dargli lavoro e libertà e questi tre sono tra i pochi superstiti dei numerosi concerti che Bach scrisse per la corte di Köthen, dove Leopold stipendiava ottimi solisti.

Pestelli dice che nel BWV 1043, Bach "dimentica il suo duca o principe, gli obblighi e i contratti di prestazione, e si perde (o si trova) nell'insguire solo la sua immensa fantasia." Io trovo che Bach segua sempre la sua fantasia o meglio la sua idea genialmente sistematica. La sua statura artistica e morale è sempre così al di sopra di tutto ciò che lo circonda, che sembra sempre camminare e pensare a due metri da terra e non essere toccato dalle beghe e dai limiti che il suo tempo e la sua condizione gli propongono.

All'epoca di Bach era prassi didattica trascrivere i concerti dei musicisti che andavano per la maggiore, per impararne i segreti e il nostro copiò diligentemente kilometri e kilometri di musica italiana, l'amatissimo Vivaldi, Corelli, Albinoni, Marcello compiendo così virtualmente quel viaggio in Italia che non ebbe mai l'occasione di fare. Quanto di italiano suona in questi concerti: energia, misura, irruenza, senso del canto e della melodia. E al tempo stesso quanto di tedesco: struttura, sviluppo sistematico, quadratura ed equilibrio della strumentazione.

Ho ascoltato e riascoltato forse per centinaia di volte questi concerti da ragazzina, durante gli anni di Conservatorio, sdraiata su un tappeto, da un vecchio LP in cui il solista era Isaac Stern, se non sbaglio. Quella posizione inconsueta mi permetteva di sentire quanto questa musica si apra e si espanda in tutte le direzioni, come un disegno di Escher.

Ascolto ora la versione di Anne-Sophie Mutter con la English Chamber Orchestra diretta da Salvatore Accardo. Ma come spesso mi accade per Bach, mi dimentico di ascoltare i suoni e vedo solo l'idea che è dentro questa musica: un'ideale di armonia cosmica in cui ogni cosa è al suo posto e dove il movimento coincide con una superiore immobilità, come quel Motore immobile di cui parlava Aristotele.

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