sabato 2 gennaio 2010

Gioachino Rossini,
Il Barbiere di Siviglia

Un patio di Siviglia, che invita a fare una pausa in compagnia.

Quest'opera è una ragazzina di 194 anni. I migliori critici ne sono stati i miei giovani alunni di una classe di qualche anno fa, era il 2004: sentirli canticchiare i motivi dell'Overture o di alcune delle arie ascoltate insieme, mentre correvano ad avventarsi sui panini della ricreazione, è stata una delle migliori soddisfazioni della mia carriera di insegnante. Tenerli sulle spine riguardo alla fine della storia, che avevano bevuto lezione dopo lezione come una appassionante telenovela, è stata invece una piccola cattiveria da adulta.

D'altronde è proprio vero quello che dice Pestelli: quest'opera è pervasa da "un'allegria biologica tanto intensa da divenire affermazione (morale?) di fiducia nella vita." L'allegria e la vitalità di cui fu pieno un viaggio in Andalusia del dicembre 2006, condiviso con una carissima amica. Ascoltata per ore e ore sulle strade ampie e scorrevolissime che legano Malaga a Granada, Granada a Cordova, Cordova a Siviglia, finalmente, fu la nostra burlesca colonna sonora. Alberi di arance carichi di frutti maturi per le strade, patii colorati e pieni di fiori, l'Alcazar solenne e magnifico, la Giralda vertiginosa e le sue campane, sulle note di Rossini sembravano strizzarci l'occhio.

L'edizione che sto ascoltando è quella diretta da Alceo Galliera nel 1958 alla testa della Philarmonia Orchestra, la Callas come Rosina, Luigi Alvas come Conte di Almaviva e Tito Gobbi come Figaro. Il CD è un po' rovinato e ho dovuto metterlo nel computer per ascoltarlo senza gli orribili fruscii, pernacchi e rantoli che si erano presentati come ospiti sgraditi alla festa - a proposito, forse se ho davvero intenzione di portare a termine questa impresa, dovrei mettere in cantiere l'acquisto di un impianto stereo nuovo e degno...

Ma nulla davvero riesce a scalfire l'inossidabile energia di questa musica, nemmeno le irriverenze della tecnologia del XXI secolo.

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