sabato 23 gennaio 2010

Georges Bizet,
Carmen

"Carmen è un mito che ciascuno porta in sè e solo in parte trova soddisfazione in realizzazioni concrete." Così Pestelli. E certo la realizzazione concreta che sto ascoltando in questo momento, un DVD comprato in edicola (è la prima volta, confesso, ed ero curiosa del risultato), Daniel Oren sul podio del San Carlo, Nadja Michael Carmen e Sergej Larin Don José, è una registrazione così scadente che non riesco nemmeno a farmene un'idea. L'unica cosa armonica è il giallo dominante di scene - minimalistiche - e costumi; tra l'altro si intona incredibilmente con l'arredamento del mio soggiorno, dove campeggia il televisore (ormai cieco e muto, non ho comprato il decoder, ma ancora abilissimo a riprodurre film e Wii).

Scherzi a parte, meglio ricordare con le orecchie della memoria la bella edizione in forma di concerto cui assistetti nel 2003 a Santa Cecilia, diretta da Prêtre, e che mi entusiasmò letteralmente con la sua vivacità e coerenza di fondo.

E' vero che Carmen è un mito: il mito della libertà al di sopra delle regole, di un prendere la vita come viene e morderla per farne uscire il succo, non importa quanto sappia di sangue. Non c'è da stupirsi che al borghese pubblico parigino del 1875 sembrò un pasticcio inguardabile: tutta invidia, in realtà, e di lì a poco anche la morale sarebbe cambiata (pensate ai romanzi di D'Annunzio, per scendere in particolari nostrani...). E infatti a gente con un po' di sale in zucca (e sto parlando di Brahms, Bismark, Čajkovskij, Saint-Saënse, Wagner e Nietsche) la Carmen piacque, eccome. Peccato che Bizet non visse abbastanza per godere il suo trionfo: morì il 3 giugno di quello stesso 1875, senza arrivare al 23 ottobre in cui il pubblico viennese applaudì con slancio il suo capolavoro.

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