martedì 13 aprile 2010

Franz Liszt,
Sonata in si min. 214/50

Per il cinquantesimo capolavoro (sono in super-ritardo sulla tabella di marcia, ma confido in recuperi futuri) mi sono concessa un brano che conosco bene e che fa le scintille anche se lo ascolti distrattamente. La sonata in si minore di Liszt è uno dei capolavori del pianismo di tutti i tempi e ti prende alla gola mettendoti all'angolo senza scampo, specialmente se sei di umore sentimentale.

Nell'amarcord della mia memoria è legata ad un goffo ma geniale pianista, collega del primo anno di università; me la fece conoscere con una mitica audiocassetta (ma ve le ricordate le cassette doppiate nel registratore? che tempi...), passatami furtivamente durante una lezione di Storia della Musica. Sul mio registratore portatile - che effettivamente trasportavo in continuazione dalla mia camera alla cucina comune dell'appartamento che condividevo con altre due studentesse - quel nastro si deve essere letteralmente consumato rinnovando ogni volta il suo miracolo. L'incisione che sto ascoltando adesso è di Claudio Arrau (ho derogato dal Pollini consigliato da Pestelli, unicamente perchè la sua versione l'ho ascoltata dal vivo, in un mitico concerto alla Chigiana, tutto dedicato a sonate titaniche) e forse anche allora era quella. Chissà...

Chissà perchè ma in quel periodo mi identificai tanto in questa sonata: sarà stata l'età, la pensosità di certi momenti alternati alla tragica passionalità di altri, l'energia straripante arrestata a tratti in radure di tranquillità. Ad ogni modo penso sia difficile trovare qualcuno a cui non piaccia questa musica eccetto quel Hanslick citato da Pestelli, che aspettandosi una sonata alla Mozart o tutt'al più alla Beethoven, si era ritrovato in questo magma di note, inconscio puro prima che Freud ci mettesse le mani. Lo si può capire, l'effetto era destabilizzante. Fin troppo.

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