lunedì 3 maggio 2010

Ludwig van Beethoven,
Concerto n.5 «Imperatore»
214/52

Accendendo la radio, come mi accade abbastanza spesso mentre preparo la cena, Radio 3 mi ha richiamato ai miei doveri di blogger, a dire il vero parecchio trascurati negli ultimi tempi. La Filarmonica della Scala in diretta da Milano, Robert Levin al pianoforte e sul podio Semyon Bychkov hanno appena finito di eseguire l'Imperatore di Beethoven. Guido Zaccagnini dialoga con l'inviata che commenta dalla Scala, Gaia Varon, e amabilmente leggono gli sms degli ascoltatori. Non si è fatta parola dello sciopero che ha coinvolto tutte le maggiori istituzioni italiane, all'indomani della firma di Napolitano al decreto che taglia definitivamente e ulteriormente i già esigui contributi alla vita musicale del nostro paese.

Levin si produce nel suo bis (che sarà mai? sembra un brano dello stesso periodo del concerto ma non saprei dire cosa...ecco, dicono che è l'ultima Bagattella, n.7 op.33) e il pubblico applaude, ovviamente. Ogni tanto le frequenze di Radio 3 - una radio nazionale, per cui tutti noi dovremmo pagare il canone - vengono invase da quelle di una radio locale, dalla quale escono trucidi commenti calcistici con forte accento romanesco. Mi è sempre sembrata estremamente metaforica questa triste circostanza, che subisco ormai da parecchi mesi: la cultura spenta dal calcio, che invade e pervade ogni cosa. Vabbè. O tempora, o mores...

Mi convinco sempre di più che la sordità di Beethoven sia stata la terribile "marcia in più" che gli ha permesso di scrivere brani di musica assolutamente visionari e rivoluzionari. Dice Pestelli che Beethoven ha rappresentato attraverso i suoni le incredibili rivoluzioni storiche che ha vissuto: illuminismo, rivoluzione francese, impero napoleonico, restaurazione, rivoluzione industriale, ascesa della borghesia. Non si può che concordare. Mi piace ricordare anche questa immagine del nostro critico, relativa al rapporto Beethoven/pianoforte: "il Quinto concerto contempla tutto da un punto di vista superiore, dove i soggetti e i drammi, anche veementi, vengono storicizzati e relativizzati dalla presenza del pianoforte; si direbbe che Beethoven sollevi grandi masse sonore solo per intimizzarle e familiarizzarle; il pianoforte è Beethoven come individuo, ancora capace di confrontarsi con la massa senza soccomberle."

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