sabato 13 febbraio 2010

Claude Debussy, Preludes, vol. I
214/33

Niente di meglio che accompagnare questo sabato, freddo ma luminoso dopo tanta pioggia, con l'impalpabile evanescenza dei Preludi di Debussy. In casa ho ben due possibilità di scelta: Thiollier e Canino.

Pare che dopo il bachiano Clavicembalo, comporre una raccolta di preludi fosse diventato un must per ogni compositore che si rispetti. E Debussy non sfugge a questa seducente sirena, concludendo nel 1910 il primo di due volumi di preludi. Immersi totalmente nella poetica del simbolismo, sono una delle più calzanti incarnazioni dell'aria che si poteva respirare nella Belle Epoque: malinconia, mistero, sensualità, nostalgia, stupore, segreto, umorismo, sguardo acuto e ironico sulla realtà. Ciascuna composizione ha un titolo ma Debussy lo pone alla fine del pezzo e non all'inizio, quasi a dire: "Le parole sono il suggerimento di un'immagine ma non fateci troppo affidamento: la musica è solo musica." I titoli però sono davvero suggestivi: Le danzatrici di Delfi, Vele, Il vento sulla pianura, Suoni e profumi nell'aria della sera (e questo è pari pari un verso di Baudelaire, vate di questa generazione di artisti), Le colline di Anacapri, Passi sulla neve, Il vento dell'ovest, La fanciulla dai capelli di lino, Serenata interrotta, La cattedrale inglese, Danza di Puck (e qui fa capolino Shakespeare del Sogno di una notte di mezza estate), Menestrelli. Ancora una volta musica e letteratura si intrecciano e rinforzano l'un l'altra i propri significati.

Mi coglie sempre un brivido pensando che tra qualche anno tanta bellezza sarebbe stata spazzata via dalla Grande Guerra e che questa evanescente raffinatezza non riuscirà a contrastare un solo colpo di granata. Il brivido raddoppia perchè mi sembra di scorgere tanta somiglianza tra ciò che accadeva 100 anni fa e ciò che accade adesso. Mentre gli intellettuali si chiudono nelle loro torri d'avorio, nei teatri e nelle sale da concerto, la barbarie avanza sotto forma di televisione volgare e sboccata che istilla in chi la guarda le nuove leggi della non-convivenza civile: ha ragione chi urla più forte e chi picchia più duro. Al principio dei secoli nuovi, i cascami di quelli precedenti brillano per un attimo in tutto il loro splendore per poi sparire inghiottiti dalla palingenesi ricorrente. Che ci aspetterà in questo XXI°secolo? Staremo a vedere. Intanto lascio che Debussy mi culli tra le sue note di cristallo e d'argento.

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